Pensieri confusi ma non troppo

orsetti

Già il fatto di titolare questo mio nuovo post “pensieri” mi fa trasalire.
La parola pensieri non si intona con “stato d’animo”. Lo stato d’animo è una cosa che esiste. Si sta male o si sta bene, quindi è reale. Il pensiero in se, non esiste. Consiste in una idea, quindi è incosistenza pura.
Si capisce però il genere di inalberamento mentale in cui mi trovo al momento.
Sono la classica persona che non sta bene, e non sta male. Mai.

Al momento avrei desiderio di tornare al  periodo dei telefoni grigi, quelli con la cornettona, e non per nostalgia delle cose passate in se, ma piuttosto per nostalgia verso i momenti che ti legano alle cose del passato.
Periodo in cui c’era la vera voglia di chiamare qualcuno. In cui le parole non venivano affidate ad un sms. Era il periodo degli scherzi telefonici, quando ancora potevi chiamare qualcuno senza rischiare una denuncia. Periodo in cui si prendeva in mano una cornetta appunto.

Era anche il periodo in cui mi faceva tanta voglia fare l’albero di Natale. Mio padre era ancora vivo ed io ricevevo bei regali dagli zii e dai nonni. Molto diversi da quelli di adesso, comperati “senza senso” alla vigilia di Natale, o scelti appositamente in quei negozi di roba orrenda.
Era anche il periodo in cui sognavo di diventare qualcuno. Chi, non lo so. Ma qualcuno.
Era il periodo della scuola, degli amici sinceri.

Era il periodo in cui mi piaceva annusare il profumo del legno appena tagliato. Il legno tagliato dal nonno.
Era il periodo del nonno, e dei mestieri.
Era il periodo delle botteghe artigiane e delle capacità. E badate che non sono passati secoli. Ho solo 39 anni.

Era il periodo dell’ottimismo fanciullesco, in cui i sogni ti sembrano così veri da pensare che realizzarli sia facile come giocare a Barbie.
Era il periodo del gioco. Il periodo della spensieratezza e della felicità, come quando potevo uscire la sera in canottiera…d’estate s’intende.

Manca poco alla fine del 2013, e badate bene, questo discorso che sto facendo non c’entra nulla con la conclusione dell’anno in corso. I bilanci si fanno in ogni periodo dell’anno. Ed ora è arrivato uno di quei momenti per fare un bilancio. Il bilancio di una vita, e niente va come dovrebbe.
O meglio, niente va come avrei voluto.
Chissà perchè la vita ti porta tanto lontano dalle idee con cui cresci.

Eppure, non c’è giorno in cui non pensi a cosa farai da grande, a quale sarà il tuo lavoro, il tuo compagno, se avrai figli.
Dovrebbero rendere obbligatorio a scuola il seguente esercizio:
“Scrivi cosa diventerai, cosa farai, e con chi sarai a 39 anni”. Poi piega il biglietto, mettilo in un posto sicuro. dimenticatelo, e quando avrai 39 anni, tiralo fuori e fatti due risate nel rileggerlo.

Ma lo fa solo a me?

Niente va come dovrebbe. E se ad ascoltare gli esperti, basterebbe accettare e lasciarsi andare, a me risulta tanto difficile accettare questa vita e questi cambiamenti.
Voglio dire…ma a che serve arrabattarsi ad essere qualcosa o qualcuno?
Che si esaudiscano o meno i nostri desideri più intimi, mica cambia qualcosa in fondo. Siamo sempre qua, infilati in una gabbia.
Ma dov’è il senso di una vita?
Chi ci lascia, chi resta, chi parte, chi riesce, chi piange, chi esulta.

Era il periodo dei cartoni animati le cui sigle erano lente e tutte cantate da Cristina d’Avena. Ed erano belle sigle. Le sapevo a memoria. Le cantavo, sempre.
Era il periodo in cui cantavo, senza senso, solo per il gusto di cantare.
Era il periodo in cui c’era gusto a fare le cose.
Era il periodo della lentezza. Di sparecchiare la tavola piano e con divertimento. Di mangiare con gusto perchè si aveva fame.
Era il periodo in cui si stava una giornata a progettare la costruzione di una casetta sull’albero. Casetta mai costruita.
Era il periodo in cui, per progettare la costruzione di una casetta sull’albero, stavamo 6 ore fuori casa, tra l’erba e i fiori…perchè c’erano ancora i fiori,  e in cui farsi venire l’allergia al polline.

Ma insomma, ma non l’hai capito che son fatta strana? Sono romantica. Mi basta poco per essere felice. Mi basta una carezza, un abbraccio. Un criceto. Ma senza anche queste poche cose, sono finita.

 

 

 

 

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